Le Case Torri: un patrimonio diffuso

Nella valle del Dragone sorsero in epoca medioevale numerose case-torri: si tratta di costruzioni destinate contemporaneamente ad essere abitazioni rurali, fortificazioni e torri di vedetta. La particolare conformazione di questi edifici è da ricondurre alla loro funzione di sorveglianza e difesa dei raccolti. Si tratta infatti di abitazioni alte in media tre o quattro piani, realizzate con pietre squadrate e con muri molto spessi, larghi quasi un metro. Si accedeva ai piani superiori mediante scale in legno e quella posta al primo piano poteva abitualmente essere ritirata nottetempo per impedire l’accesso ai piani superiori. Delle piccole finestrelle delimitate da “regge”, pietre debitamente squadrate, permettevano l’illuminazione (seppur scarsa) degli ambienti e una copertura di lastre di ardesia dette “piagne”, a quattro spioventi, dava loro un senso di solidità e sicurezza.

Le Case Torri di Vitriola

Numerose costruzioni di questo tipo sorsero a Vitriola e alcune di queste sono ancora ben visibili anche se le ingiurie del tempo le hanno ridotte in uno stato precario. Sono particolarmente suggestive la Torre dei Mucci, detta anche “Torre dei Vignaioli”, posta come vedetta al ponte che attraversa il fiume Dragone e la Torre di Ca’ Baroni, una costruzione robusta ed elegante per gli architravi e gli stipiti finemente elaborati. Quest’ultima ha subito di recente un importante intervento di restauro ed è oggi una delle meglio conservate. La Casa-Torre del Pignone è abbellita da un portone duecentesco e da pietre angolari di notevoli dimensioni che le donano un senso di raffinatezza e solidità. Le altre sono ora quasi completamente diroccate o inglobate in edifici più recenti: ricordiamo quelle di Dardagna, di Casa Bellucci, di Ca’ de Bongi e di Ca’ de Borlenghi.


Il rombo dei motori, sulla riva del fiume

Non c’è un amante dell’off-road, a due o a quattro ruote, che non abbia almeno una volta nella vita sentito parlare della Pista di Fuoristrada del Dragone a Palagano. Molti fortunati hanno poi avuto la fortuna di percorrerla e di superare i suoi guadi, le sue salite scoscesi, i massi sul fiume e il temibile e scivolosissimo “Dente”, una vera parete di roccia liscia che rappresenta uno dei tratti più ostici, ma anche il più sfidante per ogni fuoristradista che si rispetti.

Costituito nel 1982 per lo sviluppo e la conoscenza del fuoristradismo e per incentivare turisticamente il territorio, oggi è una pista che ospita degli eventi molto importanti per il calendario dell’off-road nazionale. La pista raggiunge i 16 km di lunghezza, offrendo panorami molto suggestivi e passaggi spiccatamente tecnici che mettono a dura prova anche il pilota più esperto.

Oggi uno degli eventi di maggior richiamo è rappresentato dall’X-Tribe, un appuntamento non competitivo che riunisce la tribù dei fuoristradisti che gareggiano sulla stessa pista, giorno e notte, col sole e con la neve, indipendentemente da marca, prezzo e preparazione del 4×4, ma solo con la sana voglia di stare assieme e condividere la propria passione in una delle piste più suggestive d’Italia.



La Via Bibulca, a piedi lungo la storia

L’autunno è forse la stagione migliore per andare a passeggiare e scoprire l’incanto dei nostri luoghi.
Con il mutare del colore delle foglie prima della caduta invernale, il bosco assume un colore cangiante e girovagare per sentieri diventa un momento anche contemplativo.

Oltre ai sentieri “offroad” il nostro territorio offre inoltre antiche vie di comunicazione che oggi rappresentano dei percorsi capaci di unire il fascino della storia alla meraviglia della natura incontaminata.
Una di queste vie è l’antichissima “Via Bibulca”, larga come una mulattiera d’oggi, ma che per l’epoca era un vero stradone, che poteva essere percorsa addirittura da due buoi aggiogati.
Fu nominata già nel diploma carolingio del 781 con il nome di “Via Nova”, poi assunse altri pittoreschi nomi come “La Via dei Buoi” e “Via Imperiale”, fino a mantenere quello attuale, appunto, di Via Bibulca. L’apertura di questa via di comunicazione potrebbe risalire all’VIII secolo, a seguito della conquista longobarda dei territori appenninici della provincia di Modena.
Molti studiosi, però, fanno risalire l’origine di questa via a epoche ben più antiche, addirittura al periodo pre-romanico.

Lungo questa strada sorgevano diversi ospizi per i viandanti e i pastori che la percorrevano, nei pressi di Frassinoro, Piandelagotti e San Pellegrino in Alpe.
La Via Bibulca conobbe il suo periodo di massima importanza sul finire dell’XI secolo, a partire dalla fondazione dell’Abbazia di Frassinoro (1071), ad opera di Beatrice, madre di Matilde. La sua costruzione fu dettata anche da ragioni politiche di controllo del territorio, facilitato dalla presenza di una delle più importanti strade del medioevo.
Nel 1522 Ludovico Ariosto, recandosi ad assumere il governo della Garfagnana, sperimentò lo stato disastroso a cui era ridotta la via definendola “iniqua strada“.

Il percorso escursionistico della Via Bibulca ricalca l’originaria traccia storica che dall’ampia Valle del Secchia conduceva i viandanti a S. Pellegrino in Alpe lungo mulattiere e carreggiate che formano un unico grande sentiero, in alcuni tratti ben marcato dai residui delle vecchie pavimentazioni e, in altre parti, asfaltato.

Superato Montefiorino, la Bibulca inizia il suo tratto più panoramico che costeggia le principali sommità dello spartiacque Dolo-Dragone.
Altri suggestivi scenari sulle catene più alte, sono visibili verso est dove si ergono le dorsali di Alpesigola, Sassotignoso e, sullo sfondo, il monte Cimone in tutta la sua imponenza.



La Rocca di Montefiorino

Una poderosa fortezza che domina le valli dei torrenti Dolo e Dragone.
Posta su uno sperone roccioso che domina le valli dei torrenti Dolo e Dragone, la Rocca sorse probabilmente su una postazione dei Liguri e poi dei Romani; si sviluppò attorno al mastio, costruito nel 1170 da Bernardo Montecuccoli feudatario dell’Abate di Frassinoro, a difesa delle terre soggette all’Abbazia. Baluardo dei Montecuccoli, presidio sui percorsi medievali dei pellegrini, nel 1426 passò agli Este.

Durante la Seconda Guerra Mondiale fu il principale avamposto del governo democratico della “Repubblica Partigiana di Montefiorino” (Giugno-Agosto 1944).
Oggi la Rocca ospita al suo interno il “Museo della Repubblica Partigiana e della Resistenza Italiana”, un ricchissimo museo che offre ai visitatori un percorso integrato, capace di unire la presenza di moltissimi reperti storici a strumenti multimediali interattivi per un’esperienza culturale coinvolgente e unica.

L’antica torre di guardia, grazie ad un intervento di recupero, è oggi visitabile e alla sua sommità è presente un balcone panoramico con vista a 360° sulle valli Dolo e Dragone e sulle vette dei monti Cimone e Cusna.

Una Rocca “Rock”

Montefiorino, Palagano e Frassinoro condividono una naturale propensione artistica e un legame quasi simbiotico tra i giovani del territorio e la musica. Sono tantissime le band in relazione al numero di abitanti. Molti di questi complessi musicali realizzano delle proposte inedite che coprono un ampio spettro di generi musicali. Dal rock al blues, dal country allo ska.

Proprio la Rocca ospita spesso questi happening musicali, che in altri paesi potrebbe tradursi nella più classica delle Battle of The Band: il “Rocca Rock”.
Oltre a questo evento la Rocca di Montefiorino ospita già da alcuni anni il concerto di fine anno di Rockwood, la prima School of Rock dell’Appennino Modenese con sede a Montefiorino.



La Centrale Idroelettrica di Farneta

Tra le opere di archeologia industriale più spettacolari del territorio modenese, spicca senza ombra di dubbio la centrale idroelettrica di Farneta,

A Farneta si trova una delle maggiori testimonianze della tecnologia industriale idroelettrica: la centrale “Romeo Melli”, conosciuta dagli abitanti del nostro territorio semplicemente come  “La Centrale“.
Edificata tra il 1924 e il 1929 la Centrale Idroelettrica sfruttava le acque del torrente Dolo tramite la diga di Fontanaluccia.

L’edificio principale, che consiste nel corpo centrale dell’intera struttura, è davvero spettacolare e realizzato totalmente in stile liberty.

La particolarità della Centrale di Farneta è data dalla suggestiva commistione tra reperti originali e dettagli d’epoca con le tecnologie e gli strumenti tecnologici tuttora presenti sull’impianto.
Oltre alla sezione “museale” della Centrale che presenta una mostra permanente degli impianti storici che può essere visitata su prenotazione, troviamo anche delle aree in cui è possibile l’accesso ai visitatori che vogliono conoscere il funzionamento della centrale e scoprire i segreti delle tecnologie e dei macchinari ancora attivi e funzionanti.
Le strutture d’epoca sono state tutte sottoposte a un restauro conservativo che ha contribuito a renderle fruibili, senza intaccarne le caratteristiche originali e le particolarità storiche.

All’interno della Centrale si trova una grande sala che ha mantenuto intatti i decori dell’epoca. Questa sala oggi è adibita a museo e raccoglie a scopo didattico uno dei quattro gruppi turbina alternatore, con la sala quadri di comando e controllo della vecchia centrale e varie attrezzature necessarie per la manutenzione dell’impianto.

Oltre a essere uno dei più interessanti esempi di archeologia e architettura industriale della regione Emilia Romagna, la centrale di Farneta è un museo vivo, assolutamente da non perdere per tutti gli amanti della storia e della meccanica.



Il Borgo di Sant'Antonio di Riccovolto

Ci sono luoghi che sembrano dei veri set cinematografici. Uno di questi è senza dubbio il paese fantasma di Sant’Antonio, un piccolo manipolo di case abbandonate che si trovano vicino alla frazione di Riccovolto, nel comune di Frassinoro.
Negli ultimi anni si è visto il proliferare di canali Youtube dedicati alla ricerca e all’esplorazione di luoghi misteriosi e, in qualche modo, sinistri; fra i tanti siti d’interesse, Sant’Antonio è sicuramente uno dei più affascinanti.

Il Borgo è situato a più di 1000 metri d’altezza e fu abbandonato definitivamente nel 1990. Le famiglie di Sant’Antonio vivevano per lo più di pastorizia e di agricoltura di sussistenza. Oggi le case del piccolo borgo sono quasi tutte crollate e l’unico edificio ancora agibile è la chiesetta di Sant’Antonio nella quale, una volta all’anno e sempre nel mese di giugno, viene celebrata la messa. Questa ricorrenza attira molti abitanti dei borghi vicini che ogni anno assistono a questa celebrazione onirica e carica di significati.

Per gli amanti del trekking è una meta quasi obbligata, perché nei pressi del borgo partono dei sentieri che conducono verso Sasso Tignoso, Alpesigola e Passo Cento Croci. Una piccola e spettacolare stazione di transito, che permette anche di rifocillarsi, grazie alla deliziosa fontana potabile e al prato pianeggiante che conserva i resti di questo splendido borgo abbandonato.



Tra alberi secolari e monumentali

Girovagando per i boschi del nostro territorio è facile imbattersi in alberi straordinari, che arricchiscono il paesaggio con forme e caratteristiche uniche, come se fossero tanti monumenti naturali.

L’Emilia Romagna ha continuato a censire queste meraviglie secolari fino a stilare un vero e proprio elenco degli alberi monumentali.
A Palagano, in località Lagaccio di Boccassuolo, sorge uno di questi magnifici arbusti. Si tratta di una spettacolare esemplare di rovere (Quercus petraea).
Il rovere è un tipo di quercia dal busto eretto, robusto e slanciato, ramificato solo nella parte superiore. I rami sono molto nodosi e formano una corona densa, globosa e regolare. Nel caso della magnifica pianta di Boccassuolo, queste caratteristiche sono ancora più evidenti. 18 metri di altezza per più di 4 metri di diametro per quanto concerne la circonferenza del fusto.

Abbandonarsi all’ombra delle fronde di questi alberi incantati è una vera emozione.

 

Un albero che racconta storie

Il grande rovere del Lagaccio è talmente suggestivo che molti artisti lo hanno celebrato. È il caso del cantautore Fabio Curto che ha ambientato il videoclip “Via da Qua” proprio in questi boschi.

Ma questo rovere è stato raccontato anche nel documentario “Oak”. La Quercia di Oak è simbolo di saggezza e purezza e rappresenta sicuramente un punto d’incontro tra spirito e materia: si tratta infatti di un posto sacro, un luogo di riposo, riflessione e ritiro in sé stessi. È proprio all’interno del suo tronco che vive il protagonista maschile di questa affascinante storia.



Frassinoro, la terra del Fondo

La montagna è da sempre sinonimo di sport invernali e il nostro territorio ha delle proposte uniche per gli amanti dello sci, del fondo e delle attività all’aria aperta.

Frassinoro è senza dubbio una delle capitali nazionali dello sci di fondo e del biathlon.  Questo paese ha dato i natali a una delle leggende del fondo, Tonino Biondini, campione italiano dei 15 e 30 km nel 1972, protagonista alle Olimpiadi di Sapporo nello stesso anno.
Insieme al fratello Leonello hanno lasciato un’impronta significativa, creando quella che può definirsi una vera dinastia.

La passione autentica per questo sport e la cura maniacale per i dettagli è una caratteristica quasi somatica degli abitanti di Frassinoro. Pensate che alle Olimpiadi Invernali di Pechino del 2022 sono stati addirittura 4 gli skimen di Frassinoro, che lavorano e curano i materiali per gli atleti delle più importanti federazioni del circuito.
Gianluca Marcolini, Federico Fontana, Giovanni Ferrari e Simone Biondini sono tra i più titolati skimen del biathlon internazionale, nonché gli artefici dei successi di Stati Uniti, Norvegia e della Nazionale Italiana.

Benvenuti sportivi!

Un paese dalla cultura sportiva così importante non può non coccolare i suoi campioni e ospitare vari eventi celebrativi degli sport che hanno reso celebre e rinomato questo piccolo comune dell’Appennino.
Le associazioni del paese organizzano eventi a scopo benefico a cui partecipa il gotha del fondo e del biathlon internazionale, con campioni del presente come l’italiana Dorothea Wierer o del passato come “Lo Zar” Nicolaj Zimjatov, per citarne alcuni.
Il fondo e il biathlon sono gli sport “nazionali” a Frassinoro e a Piandelagotti e si praticano tutto l’anno grazie a una scuola di ski kett e a una pista pensata per gli amanti dello ski rolling. Per chi vuole invece cimentarsi in questi sport all’interno di una cornice naturalistica incredibile il “Centro Fondo Boscoreale” è sicuramente una meta da non perdere.

Il Centro Fondo Boscoreale

Il Centro Fondo Boscoreale si trova in prossimità della località “Prati di San Geminiano”, a poca distanza dal centro di Piandelagotti. Siamo nel cuore dell’alto Appennino Modenese, a sud del crinale montuoso che separa Toscana ed Emilia, proprio tra le province di Modena, Reggio Emilia e Lucca.

Questo comprensorio è l’ideale per tutti quelli che vogliono avvicinarsi alla pratica del fondo, grazie a un Campo Scuola che propone corsi, lezioni individuali e un training divertente adatto a tutti i livelli di preparazione.

Il Centro Fondo offre, oltre al Campo Scuola, tracciati adatti ad ogni livello: piste rosse, blu e nere di differente difficoltà e lunghezza, per un totale di oltre 40 km. All’interno del Centro è possibile sciare sia a tecnica libera che con tecnica classica.



Il Santuario di San Pellegrino in Alpe

Una scenografica balconata naturale. Amministrativamente il centro di San Pellegrino in Alpe è un’exclave del comune di Frassinoro e con i suoi 1525 m.s.l.m è il centro più elevato di tutta la dorsale appenninica.

Il borgo nasce in epoca medievale, e venne a svilupparsi attorno all’omonimo “Santuario di San Pellegrino in Alpe”. Il santuario venne eretto per garantire l’assistenza a viandanti e pellegrini, nel tratto più impervio e disagevole dell’importante via delle Radici.
Ancora oggi il santuario è meta di migliaia di visitatori e mantiene le spoglie mummificate dei santi Pellegrino e Bianco.

L’importanza religiosa del sito è tangibile ancora oggi. Sono ancora moltissimi i fedeli che percorrono la via Vandelli che porta al santuario, tenendo con sé un masso che avrebbe reso ancora più difficoltoso il raggiungimento di questo vero “avamposto” della fede cristiana.

La rilevanza storica del luogo è inoltre testimoniata anche dal “Museo della Civiltà Contadina” dove vengono mantenuti e conservati reperti centenari, principalmente utilizzati dagli abitanti del luogo nella vita di tutti i giorni.



Il Monte Calvario e i rilievi ofiolitici

La rupe del Calvario, spesso chiamata “Monte Calvario”, è una delle più suggestive emergenze naturali delle Valli del Dolo e del Dragone. Un’antica formazione ofiolitica che svetta verticalmente attraverso i boschi che sovrastano il torrente Dragone.

L’affioramento roccioso del Calvario rappresenta un elemento dalle caratteristiche singolari rispetto al contesto circostante e costituisce un importante testimonianza degli eventi geologici che hanno segnato profondamente la storia della Terra. I siti di interesse geologico o geositi, insieme alle altre componenti ambientali, formano il patrimonio naturale di un territorio e pertanto meritano di essere valorizzati e tutelati.
Nel 2014 è stato realizzato un itinerario ecologico-ambientale per far conoscere a studenti e turisti questa spettacolare area.

La rupe del Calvario presenta moltissime caratteristiche uniche, spesso nascoste. Innanzitutto quest’area è un habitat ideale per una ricchissima fauna endemica. Nel perimetro di questa asperità sono presenti diversi anfibi, come il rospo comune e il tritone alpestre, rettili come la lucertola muraiola, il ramarro e la vipera.

I segni di un passato vulcanico

La fuoriuscita della lava sul fondale oceanico, a diretto contatto dell’acqua e a profondità piuttosto elevate, porta alla formazione di caratteristiche strutture tondeggianti detti “cuscini” o “pillows“. Queste manifestazioni vulcaniche sono tipiche sia delle eruzioni attuali che del passato, come quando si solidificarono le rocce basaltiche che formano la maggior parte degli affioramenti ofiolitici presenti nella valle del Dragone.

Sulle superfici esterne dei pillows si possono frequentemente osservare piccole masserelle sferoidali di colore variabile dal biancastro al verde scuro, dette “varioliti”, legate al rapido raffreddamento, a contatto con l’acqua del mare, delle “gocce” di magma fuoriuscito dalle pareti dei pillows precedentemente solidificatesi. Anche queste manifestazioni sono una caratteristica che accomuna le lave dei fondali oceanici attuali con quelle effuse nel passato.

Strutture a pillows sono molto ben conservate e facilmente osservabili nella parte basale del complesso ofiolitico Calvario, specialmente in prossimità del letto del torrente Dragone.

Oratorio del Calvario

Risale al 1861 l’autorizzazione dell’arcivescovo di Modena a edificare, sulla rupe del Calvario, un oratorio per potervi celebrare la S. Messa e le sacre funzioni. L’edificio con buona probabilità doveva sostituire una maestà o una piccola cappella ove i fedeli della vallata si recavano abitualmente a venerare l’immagine della Beata Vergine Addolorata.

L’oratorio fu ultimato e benedetto nel 1862. L’anno successivo l’arcivescovo di Modena concedeva l’indulgenza di 40 giorni a quei fedeli che “colle dovute disposizioni reciteranno tre Ave Maria innanzi all’immagine dell’Addolorata”. Nello stesso anno veniva pure eretta canonicamente la Confraternita della B.V. Addolorata. L’edificio subì un rapido deterioramento, tanto che nel 1899 tra i parrocchiani di Lago si raccolsero offerte per una sua “ricostruzione”. I lavori iniziarono nel 1919 e furono portati a termine nel 1923. Da allora la struttura è stata sottoposta a due ulteriori interventi di restauro, un primo intervento a metà degli anni ’60 e un secondo nel 2008.

Il calvario rappresenta un piccolo gioiello da scoprire, uno scrigno di segreti per gli amanti della natura, del trekking e degli escursionisti e di tutti gli amanti della storia.